Avvocato penalista Andria per autofavoreggiamento

Autofavoreggiamento

Autofavoreggiamento e casi di non punibilità
ai sensi dell’art. 384 c.p.

L’esimente di cui all’art. 384 c.p. opera anche nell’ipotesi di autofavoreggiamento. Cass. pen. n. 52118 del 2 dicembre 2014.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 52118 del 2 dicembre 2014, ha confermato il principio – già pacificamente consacrato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di favoreggiamento personale ex art. 378 c.p. – secondo il quale può applicarsi la causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 384 c.p. anche al “soggetto agente che abbia reso mendaci dichiarazioni per evitare un’accusa penale a proprio carico” (Cass. pen. n. 37398 del 16 giugno 2011).

La sentenza emessa dalla Corte di Appello di Milano, oggetto di ricorso per Cassazione, confermava invero la sentenza di primo grado, che riteneva D. colpevole del delitto di cui all’art. 378 c.p. In particolare, l’imputato D. veniva ritenuto responsabile del delitto di favoreggiamento personale in quanto, fermato dalla P.G. mentre trovavasi a bordo di uno scooter unitamente ad A. (persona sottoposta alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di dimora nel Comune di Milano, resasi di fatto irreperibile dal 2008 e tratta in arresto per il reato di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 9, commi 2 e 3), affermava di non conoscerlo bene e di sapere che il suo nome fosse “S.”.

Per il vero, però, i due si conoscevano da tempo, poiché già identificati più volte assieme durante precedenti controlli, e lo stesso operatore di P.G. era al corrente della loro identità. Orbene, con la pronuncia che si annota la Suprema Corte ha accolto l’impugnazione di D. per motivi diversi da quelli prospettati dalla difesa (inutilizzabilità delle dichiarazioni del teste T., agente di P.G., nei confronti di D., che avrebbe dovuto assumere la qualifica di indagato), richiamando il principio secondo il quale la sussistenza della causa di non punibilità ex art. 384 c.p. è rilevabile d’ufficio, quindi anche in assenza di uno specifico motivo di ricorso (in tal senso Cass. pen. n. 9727 del 18 febbraio 2014).

Nella specie, infatti, la Suprema Corte ha affermato che l’esimente di cui all’art. 384 c.p. potesse operare nei confronti del ricorrente, per avere D. commesso il fatto in quanto costretto dalla necessità di salvare sé medesimo da un grave e inevitabile nocumento alla libertà personale e all’onore, dando séguito al su citato orientamento giurisprudenziale (Cass. pen. n. 37398 del 16 giugno 2011) e pertanto ritenendo che le sue condotte integrassero non già il favoreggiamento personale, bensì il cd. autofavoreggiamento. Senza soffermarsi sulla lettera dell’art. 378 c.p. che, prevedendo che l’aiuto sia prestato a “taluno” e quindi ad un soggetto diverso dall’autore, escluderebbe la punibilità dell’autofavoreggiamento in virtù del principio di tipicità, ci si limita in questa sede ad analizzare i passaggi della sentenza in commento.

Ebbene, se il delitto di favoreggiamento personale impone di verificare che non sussista l’esimente ex art. 384 c.p., non essendo detto reato punibile solo in considerazione dell’intralcio arrecato al corso della giustizia, a fortiori dovrà giungersi ad una conclusione analoga con riferimento al cd. autofavoreggiamento. Qualora ricorra infatti lo stato di necessità nell’ipotesi speciale di cui all’art. 384 c.p., detta punibilità sarebbe in contrasto con il principio “nemo tenetur se detegere”.

autofavoreggiamento
Occorre a questo proposito sottolineare come la libertà personale che il soggetto agente tutela, ponendo in essere fatti costituenti il reato di favoreggiamento, sia rappresentata dall’esigenza di evitare un’accusa penale a proprio carico e si sostanzi, dunque, nel diritto di difesa di rango costituzionale. Il percorso interpretativo seguìto dalla Corte di Cassazione conduce, pertanto – conseguentemente ad un giudizio di bilanciamento tra il diritto di cui all’art. 24 Cost. e quello della “non fuorviata e ‘giusta’ amministrazione della giustizia” – a scriminare le condotte dell’imputato D. in quanto lo stato di necessità di cui all’art. 384 c.p. è delineato dal “legittimo esercizio di un diritto del favoreggiatore, cioè dell’inviolabile diritto di difesa, nella sua massima latitudine efficiente, esoprocedimentale (autodifesa atecnica) ed endoprocedimentale” (Cass. pen. n. 37398 del 16 giugno 2011).

In conclusione, la Corte di Cassazione, considerato che nel caso di specie “l’agire in modo conforme alla legge avrebbe comportato la ragionevole possibilità di un’accusa” contro D. – dato lo stato di prolungata irreperibilità e l’arresto in flagranza di A., ricercato e trasportato dal ricorrente al momento del controllo di polizia – ha ritenuto integrata l’ipotesi speciale di “stato di necessità” di cui all’art. 384 c.p. e ha annullato senza rinvio la sentenza della Corte di Appello di Milano perché il fatto non costituisce reato.

LA MASSIMA

L’art. 384 c.p., quale ipotesi speciale dello stato di necessità di cui all’art. 54 c.p., opera anche nei confronti del “soggetto agente che abbia reso mendaci dichiarazioni per evitare un’accusa penale a proprio carico” (Cass. pen. n. 37398 del 16 giugno 2011).
Il principio “nemo tenetur se detegere” impedisce invero che possa punirsi per il delitto di favoreggiamento chi abbia commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo da un grave e inevitabile nocumento nella libertà, concretantesi nell’esercizio del costituzionale diritto di difesa. 

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