BLOWIN’ IN THE WHISTLE
BLOWIN’ IN THE…WHISTLE:
IL PRIMO RAPPORTO DELL’ANAC SUL C.D. WHISTLEBLOWING
Prof. Avv. Giuseppe Losappio | Avv. Simona Aduasio
1. L’Autorità Nazionale Anticorruzione (A.N.AC.) ha reso noti i risultati del primo monitoraggio sul whistleblowing e il prototipo di una applicazione per la gestione delle segnalazioni di illeciti (anche) confrontando la realtà italiana con le esperienze degli ordinamenti di altri Paesi, membri dell’OCSE, in particolare.
Il documento muove, innanzitutto, dal tentativo di definire l’istituto non mancando di evidenziare la difficoltà di tradurre il significato di whistleblower, che (of course) letteralmente significa “soffiatore nel fischietto” ma figurativamente (per lo più nell’american english) evoca l’azione dell’arbitro che segnala un’irregolarità e, per ulteriore traslazione semantica, quella delle forze dell’ordine che intervengono per ripristinare l’ordine pubblico ovvero di un soggetto che innesca l’attività di un gatekeeper, all’interno a all’esterno di un ente. A quest’ultima accezione del lemma si riferisce precisamente l’A.N.A.C., in connessione con la definizione contenuta nella l. n. 190/2012 (art. 1, co. 51, rubricato “Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti”), dove il whistleblower è identificato con “il pubblico dipendente che denuncia all’autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro”. Inteso il whistleblowing come l’attività di segnalazione, da parte di dipendenti pubblici o privati, di illeciti o comunque di fenomeni di mala gestio, indispensabile per la prevenzione della corruzione e l’emersione di illeciti di interesse pubblico, il rapporto si propone, innanzitutto, l’obiettivo di emancipare il whistleblower dalle flessioni prettamente negative, quali “spione, delatore, traditore”[1], radicate in una certa cultura dell’omertà, comune sia alle organizzazioni private che a quelle pubbliche, dove “l’attività di segnalazione” viene ancora percepita come un “elemento di rischio”[2].